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Storia della Rivoluzione d'Ottobre

Nel dicembre del 1907 Lenin, che era rientrato in Russia nel 1905, fu costretto ad emigrare in Svizzera per la seconda volta per sfuggire ad un mandato d'arresto della polizia zarista. Trascorse all'estero quasi dieci anni.
All'inizio del 1917 nonostante la legalizzazione di alcuni partiti politici, il sistema zarista rimaneva rigidamente assolutistico. I primi mesi, dato il disastroso andamento della Prima Guerra Mondiale, erano stati caratterizzati nelle città da continue sommosse per la carestia che aveva assunto le dimensioni di una catastrofe. Le spese di guerra venivano finanziate attraverso i prestiti e l'aumento della circolazione di moneta (inflazione) che avevano da tempo fatto crollare l'economia. Il malcontento era generalizzato: nelle campagne la popolazione contadina, in continua crescita, aspirava alla distribuzione delle terre, nelle città la classe operaia, concentrata in grandi nuclei industriali, poneva le sue rivendicazioni.
Dimostrazioni di febbraio a S. Pietroburgo Il 18 Febbraio (o 3 Marzo secondo il calendario moderno) 1917 nelle officine Putilov di Pietrogrado scoppiò uno sciopero ad oltranza: per ritorsione tremila operai furono licenziati. Gli scioperi di protesta si estesero a quel punto a valanga in tutte le altre industrie della capitale e il 23 Febbraio fu proclamato lo sciopero generale. Lo Zar Nicola II informato nel suo quartier generale a Mogilev degli avvenimenti, non rendendosi conto dell'enorme portata della protesta, diede l'ordine al generale Chabalov di “liquidare l'indomani stesso i disordini della capitale” .
Il 26 Febbraio un reparto del reggimento della guardia di Volinia aprì il fuoco sulla prospettiva Nevskij, dove era in corso una dimostrazione. Sessanta tra uomini e donne caddero morti sulla piazza: fu la scintilla che innescò la rivoluzione.
Il presidente della Duma, Rodzianko, telegrafò allo Zar scongiurandolo di fare delle concessioni alla volontà del popolo per salvare la monarchia ma non ricevette risposta: Nicola II continuava ad illudersi di padroneggiare ancora la situazione. Il 27 Febbraio (12 Marzo) la sede della Duma, nel palazzo di Tauride, fu occupata da soldati e operai armati, la sera stessa si riunì lì il Primo Soviet di Pietrogrado, mentre anche a Mosca divampavano vaste sommosse.
Il Soviet di S. Pietroburgo Quando l'8 Marzo (21) 1917 si scatenò a Pietrogrado l'ennesima insurrezione popolare, lo Zar Nicola II nell'impossibilità di reprimerla, fu costretto ad abdicare in favore del fratello, il Granduca Michele, ma questi lo stesso giorno rifiutò la corona. La cosiddetta Rivoluzione di Febbraio , durante la quale perirono nella sola capitale più di milequattrocento persone, pose fine alla dinastia dei Romanov dopo quasi trecento anni di dominio.
Il soviet di Pietrogrado, composto in maggioranza da menscevichi e da socialisti di destra, diede il suo appoggio alla costituzione di un governo provvisorio, formato dai maggiori partiti allora presenti nella Duma, sotto la presidenza del latifondista liberale Lvov.
La Russia, stremata da tre anni di guerra, si rese conto ben presto che le speranze di cambiamento riposte nel nuovo governo borghese erano rimaste tradite. Infatti il governo, che era dominato da rappresentanti della grande proprietà fondiaria e del capitale, si dichiarò per il proseguimento della guerra, mentre le riforme agrarie venivano rimandate. Le perdite al fronte, tra morti, feriti e prigionieri, ammontavano ormai a più di sei milioni. La Polonia russa era persa. Nelle città mancava tutto, gli approvvigionamenti erano resi difficili anche a causa delle condizioni disastrose del sistema ferroviario. Nelle campagne l'inquietudine dei contadini aumentava a causa del numero sempre crescente di reclutati per il fronte.
Lenin tornò in patria nell'aprile del 1917. Francia ed Inghilterra gli rifiutarono il visto di transito temendo che avrebbe fatto di tutto per indurre la Russia a concludere una pace separata con la Germania. Per la stessa ragione, però, la Germania era interessata a favorire il rientro di Lenin in patria. Con un accordo stipulato a Ludendorff, il governo tedesco permise a Lenin e ad altri trenta emigranti il transito.
La sera del 3 (16) aprile 1917 Lenin e il suo seguito giunsero alla stazione finnica di Pietrogrado. In una sala d'onore lo accolse il socialdemocratico menscevico Ccheidse che lo salutò a nome del Soviet di Pietrogrado. Lenin lo trascurò totalmente e rivolse ai presenti nella sala le seguenti parole: ”Compagni! Soldati, marinai e lavoratori! Sono felice di salutare in voi la rivoluzione russa vittoriosa, avanguardia dell'armata proletaria mondiale... La rivoluzione russa compiuta da voi ha dato inizio ad una nuova epoca. Viva la rivoluzione mondiale socialista!”
Davanti alla stazione di Pietrogrado premeva una folla enorme. Lenin fu issato su un carro armato e nella luce dei riflettori e delle fiaccole, tenne il suo primo discorso accolto da ovazioni.
L'indomani Lenin espose alla conferenza del partito bolscevico le sue Tesi del 4 Aprile chiedendo che il proletariato abbattesse il governo provvisorio e affidasse “Tutto il potere ai soviet!” , spronò quindi i contadini affinché si appropriassero con la forza delle grandi proprietà terriere. I menscevichi non lo presero sul serio , rinfacciandogli di parlare come un pazzo in preda a un delirio , ma Lenin non si lasciò impressionare.
Manifestazione del 18 Giugno 1917 Domenica 18 giugno (1 luglio) 1917 fu organizzata una grande manifestazione a favore del governo provvisorio. Parteciparono quattrocentomila persone ma nessuno fece propri gli slogan filogovernativi diffusi da fonti ufficiali. La dimostrazione assunse, sotto le pressioni dei bolscevichi, un carattere ostile al governo che da poco aveva ostinatamente rifiutato di approvare anche le proposte più moderate di riforma agraria. Centinaia di cartelli riportavano: “Tutto il potere ai soviet!" "Basta con la guerra!" "Pane, pace, libertà!”
Negli stessi giorni era cominciata l'offensiva contro i tedeschi. Il socialista Kerenskij , divenuto nel frattempo ministro della Guerra, tenne in diverse località entusiastici discorsi in favore dell'offensiva militare, ma, quando più di settantamila uomini perirono e la controffensiva nemica costrinse i russi ad indietreggiare, l'euforia si spense ovunque. Un odio violento divampò contro Kerenskij , mentre crescevano le simpatie per i bolscevichi che promettevano la pace.
Al fronte e nelle retrovie la disciplina scomparve, spesso gli ufficiali venivano fucilati dai loro soldati. Nelle campagne le azioni illegali dei contadini si facevano sempre più frequenti, nel mese di giugno si registrarono ottocentosessantacinque espropriazioni. In diversi luoghi, sopratutto in Siberia, i contadini attaccarono anche le proprietà dei conventi. Molte fabbriche furono chiuse per mancanza di rifornimenti di materie prime.
I costi della guerra ammontavano ormai a quaranta milioni di rubli al giorno: i prezzi salivano senza sosta, mentre la disoccupazione aumentava. Ad accrescere l'esasperazione delle masse contribuivano i dati apparsi nei giornali che attestavano inauditi profitti di guerra agli industriali e fornitori dell'esercito. Il governo provvisorio nel tentativo di arginare il malumore, decise di inviare al fronte le truppe di stanza a Pietrogrado, illudendosi così di poter disarmare la classe operaia e sciogliere i consigli degli operai e dei soldati. Ma le truppe intuirono perfettamente il piano ed insorsero. Migliaia di proletari si unirono a loro.
Il 3 (16) luglio 1917 i dimostranti si recarono alla sede del partito bolscevico chiedendo l'immediato abbattimento del governo provvisorio e il passaggio dei poteri ai consigli degli operai e dei soldati. Trotzki organizzò la rivolta guidando la neonata Guardia Rossa. Il giorno seguente si unirono alla folla diecimila marinai e operai provenienti da Kronstadt. Dopo numerose sparatorie il corteo si impossessò del palazzo di Tauride, ma l'entusiasmo popolare si spense all'arrivo dei soldati della guardia fedeli al governo, i quali dispersero la folla e repressero la rivolta.
Il presidente del consiglio, il principe Lvov, emise mandati d'arresto contro tutti i capi del partito bolscevico. La sede del partito fu occupata, la redazione e la tipografia del giornale bolscevico Pravda devastate. Lenin riuscì a fuggire in Finlandia travestito da operaio.
Nel frattempo la situazione al fronte degenerava sempre più, i tedeschi avanzavano e gli episodi di insubordinazione diventavano sempre più frequenti. Il governo provvisorio di Kerenskij La presidenza del consiglio dei Ministri allora fu assunta da Kerenskij nel tentativo di ristabilire la disciplina nell'esercito. Fu reintrodotta la pena capitale ma oramai i russi erano dovunque in ritirata.
Il 26 Luglio (8 Agosto) 1917 i bolscevichi si riunirono illegalmente per il loro sesto congresso. Lenin dal suo esilio propose di accelerare la caduta della dittatura controrivoluzionaria della borghesia e di sostituirvi la dittatura del proletariato, ritenendo peraltro impensabile una conquista del potere per via pacifica. Il congresso approvò la sua linea.
Kerenskij, sperando di consolidare la sua posizione, fece riunire il 12 (25) Agosto 1917 nel Teatro Grande di Mosca, un'assemblea di oltre duemila persone in rappresentanza di tutti i partiti politici (tranne quello bolscevico), dell'esercito, della marina, dei soviet locali, delle associazioni imprenditoriali, dei sindacati, degli industriali, dei proprietari terrieri e dei banchieri. I bolscevichi scatenarono a Mosca uno sciopero di protesta al quale aderirono quattrocentomila persone. Il primo giorno di riunione il cosiddetto Consiglio di Stato si ritrovò senza elettricità, senza tram e senza ristoranti aperti; Kerenskij intimorito fece disporre dei cannoni a difesa del Teatro Grande.
Questa assemblea non produsse gli effetti sperati: il prestigio di Kerenskij (schernito ormai dalla popolazione con il soprannome di Bonaparte ) era completamente distrutto, dimostrandosi incapace di incitare ancora l'esercito e di frenare l'adesione delle masse al bolscevismo. Il popolo chiedeva terra e pace, solo il bolscevismo era in grado di prometterle, tutti gli altri partiti si battevano per il seguito della guerra e il rinvio delle riforme agrarie.
Il generale Kornilov Il generale Kornilov, nominato comandante supremo dell'esercito, fu sospinto alla ribalta della scena politica. Nell'illusione di spingere i bolscevichi alla resistenza e di annientarli, liquidando al tempo stesso anche i soviet degli operai e dei soldati, il 19 Agosto (1 settembre) 1917 egli abbandonò Riga ai tedeschi ritirando un numero rilevante di unità dal fronte, aprendo così al nemico le porte di Pietrogrado.
Kornilov diresse le proprie truppe contro la capitale dove voleva assumere il potere assoluto e chiese a Kerenskij di proclamare lo stato d'assedio. Il piano del generale trapelò anzitempo, suscitando irritazione e sdegno tra la popolazione. Kerenskij che aveva appoggiato Kornilov solo nella speranza di avere un alleato contro il pericolo bolscevico, lo esonerò telegraficamente dal comando e lo accusò insieme ai suoi sostenitori di alto tradimento.
Il generale Kornilov si rifiutò di deporre il comando e ordinò al dispotico generale Krymov di marciare su Pietrogrado alla testa di un corpo di cavalleria.
Nella capitale Kerenskij perse la testa, dimostrandosi incapace di opporre la benché minima resistenza al tentativo di colpo di stato di Kornilov.
Il partito bolscevico invece agi con calma e sicurezza: insediò un consiglio di guerra in difesa della capitale, venticinquemila operai aderirono alla Guardia Rossa, i lavoratori delle industrie belliche Putilov prolungarono l'orario di lavoro portando a termine in due giorni l'assemblaggio di quasi duecento cannoni, i sindacati armarono altri cinquemila operai. Le locomotive che trasportavano la cavalleria di Krymov vennero disperse dai ferrovieri verso direzioni sbagliate o su binari morti, mentre molti agitatori bolscevichi raggiunsero le truppe di Krymov e le informarono delle intenzioni per le quali si intendeva sfruttarle; si ebbero così numerose defezioni.
Dopo appena due giorni il generale Krymov si arrese a Kerenskij e a causa dell'umiliazione subita si tolse la vita. Il colpo di stato di Kornilov, l'uomo “dal cuore di leone ma dal cervello d'un coniglio” , era fallito miseramente. Tutti i capi dell'esercito furono arrestati.
La popolazione si rese conto ancor di più che la vera forza rivoluzionaria era in mano al partito bolscevico, se ne ebbe riprova nelle elezioni successive che si ebbero di lì a breve.
L'aggravarsi della crisi alimentare, la diffusa disoccupazione, l'incapacità di fronteggiare il collasso economico acuirono ulteriormente le difficoltà del governo di Kerenskij, mentre la marea del bolscevismo cresceva di giorno in giorno.
Lenin rientrò di nascosto a Pietroburgo il 10 (23) ottobre 1917 per orientare e guidare il comitato centrale alla conquista del potere: l'insurrezione armata doveva scattare senza indugio.
Due giorni dopo fu creato il Comitato Militare Rivoluzionario sotto la presidenza di Trotzki, e fu alloggiato nell'istituto Smolnyi, già sede del partito bolscevico. Il comitato poteva contare su dodicimila guardie rosse e tremila soldati. Gli operai delle industrie belliche fornirono le armi, si unirono ai bolscevichi le navi da guerra della flotta del baltico e molte truppe del governo provvisorio.
La sera del 24 ottobre (6 novembre) 1917 Lenin, sotto false sembianze, si recò all'istituto Smolnyi per organizzare la presa del potere: durante la notte le guardie rosse ed i soldati occuparono senza incontrare resistenza i ministeri, la banca nazionale, la centrale telefonica, le stazioni ferroviarie e tutti gli altri punti nevralgici di Pietrogrado.
Kerenskij riuscì a fuggire dalla capitale ma gli altri membri del governo provvisorio rimasero chiusi nel Palazzo d'Inverno nell'attesa disperata quanto vana dell'intervento dell'esercito.
Il Governo provvisorio mobilitò le poche forze ancora fedeli: gli allievi ufficiali delle scuole, tre reggimenti di cosacchi e qualche altro reparto tra cui il Battaglione femminile della signora Botchareva per difendere il Palazzo.
Gli insorti accerchiarono l'edificio ed intimarono al governo di arrendersi entro mezz'ora, in caso contrario le navi da guerra avrebbero aperto il fuoco dei loro cannoni.
Il palazzo d'inverno occupato L'ultimatum non ebbe risposta e due ore dopo una cannonata a salve, partita dall'incrociatore Aurora provocò una sparatoria tra le due parti. Il Battaglione femminile, dopo aver tentato una sortita, fu catturato dagli insorti che penetrarono nel palazzo e in poco tempo disarmarono gli ufficiali.
All'alba del 26 ottobre (8 novembre) tutti i ministri furono arrestati e trasferiti sulla fortezza di Pietro e Paolo. L'assalto al Palazzo costò la vita a cinque marinai e ad un soldato.
Alcune ore prima si era radunato allo Smolnyi il secondo congresso panrusso dei soviet composto da seicentocinquanta delegati, sotto la presidenza del bolscevico Kamenev, il quale annunciò all'assemblea che il palazzo d'Inverno era stato occupato ed il governo (ad eccezione di Kerenskij) tratto in arresto.
Tra ripetuti e scroscianti applausi fu decretato il passaggio del potere ai soviet e proclamata la Repubblica dei Soviet.
La sera di quello stesso giorno si aprì la seconda seduta del congresso: in un tripudio di ovazioni Lenin salì sul podio. Il suo discorso salutò la vittoria della rivoluzione ed espresse la speranza di una rivoluzione socialista mondiale, che si poteva delineare anche in Germania, in Italia ed in altri paesi europei. Poi Lenin annunciò il decreto di espropriazione della terra che fu dichiarata patrimonio del popolo, insieme alle risorse petrolifere, carbonifere e minerarie. Il congresso approvò ed infine intonò l'Internazionale. La conquista del potere da parte dei bolscevichi passò alla storia come la Rivoluzione d'Ottobre . Le guardie rosse continuarono a combattere contro le truppe di cosacchi ancora fedeli a Kerenskij e le sconfissero a Pulkovo e Gacina. Kerenskij si rifugiò in Inghilterra.
A Mosca la presa del potere fu più drammatica che a Pietrogrado. Il colonnello Rjabzev occupò con i pochi ufficiali rimastigli fedeli il Cremlino dopo grandi spargimenti di sangue. La popolazione non gli offerse alcun aiuto; le forze bolsceviche e i lavoratori gli tagliarono ogni rifornimento. Il 2 (15) novembre 1917 Rjabzev si arrese e sul Cremlino fu issata per la prima volta la bandiera rossa. Nelle altre città della Russia le forze rivoluzionarie di Lenin presero il potere in circostanze analoghe.
Il Soviet dei commissari del popolo Il nuovo governo fu chiamato Soviet dei Commissari del Popolo quale governo provvisorio degli operai e dei contadini. La presidenza ovviamente andò a Lenin, mentre a Trotski fu affidato il commissariato degli Esteri, a Rykov il commissariato dell'Interno, a Lomov la Giustizia, a Nogin il Commercio e l'Industria, a Miljutin l'Agricoltura, ed a Lunacarskij la Pubblica Istruzione.
Il compito che attendeva Lenin era enorme, imponendo una profonda riorganizzazione dell'apparato statale e dell'economia in pieno sfacelo, la pace con la Germania e la repressione dell'opposizione politica interna.
I primi atti del governo rivoluzionario furono l'approvazione di un decreto sulla terra che nazionalizzava le grandi proprietà fondiarie proponendone la suddivisione tra i contadini, e un decreto sulla pace che annunciava l'avvio delle trattative per la pace immediata. Seguirono altri decreti sulla limitazione della libertà di stampa e sulla nazionalizzazione delle ferrovie e della flotta. La gestione delle industrie passò sotto il controllo degli operai. Tutte le banche si fusero con la Banca di Stato.
Le istituzioni del vecchio stato furono liquidate: il sistema giudiziario fu soppiantato dai tribunali del popolo, la polizia venne sostituita da una milizia formata in prevalenza da operai, la Chiesa fu separata dallo Stato e dalla scuola. Fu introdotto il matrimonio civile e la donna venne legalmente equiparata sotto ogni aspetto all'uomo. Fu introdotta la giornata lavorativa di otto ore.
Il 5 (18) dicembre 1917 venne riconosciuta l'indipendenza della Finlandia e fu promulgata la Dichiarazione dei popoli della Russia che riconosceva l'uguaglianza di tutte le minoranze etniche e il loro diritto all'autodecisione.
Fra i centri di resistenza al nuovo regime, il più vicino alla capitale fu Mohilev, dove il generale Duchonin rifiutò di eseguire l'ordine del Governo sovietico di concludere un armistizio. Duchonin venne destituito ed al suo posto fu nominato generale il bolscevico Nicola Krylenko, che a capo di un contingente di marinai occupò Mohilev. Duchonin venne ucciso dai soldati.
Frattanto a Kiev, l'Assemblea nazionale (la Rada centrale) manifestò un'opposizione contro il nuovo governo e dichiarò di assumere il potere sino alla convocazione dell'Assemblea costituente. Ma l'influenza della propaganda bolscevica aveva provocato numerose brecce anche nelle regioni cosacche del sud-est, ove avevano trovato rifugio Kornilov ed altri generali, ed il 26 dicembre a Charkov, si formò un governo sovietico ucraino che schiacciò il governo della Rada.
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