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Il sito della rivoluzione d'Ottobre

Frammenti rivoluzionari

In questa pagina è raccolta una selezione di brani ed aforismi tratti dagli scritti dei protagonisti della Rivoluzione d'Ottobre. Chiunque volesse fornire altri testi per arricchire questa antologia può farlo inviandoli direttamente al nostro indirizzo di posta elettronica.



...un popolo che opprime altri popoli non può essere libero. (V.I.Lenin)

No! La democrazia non si identifica con la sottomissione della minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione della violenza sistematicamente esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra. Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni violenza organizzata e sistematica, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, noi abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini, alla sottomissione di un uomo a un altro, di una parte della popolazione a un'altra, perchè gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione. (Lenin - Stato e Rivoluzione)

Se gli operai tedeschi volessero occupare una stazione, prima, bravi bravi, comprerebbero il biglietto. (V.I.Lenin)

Centocinquanta o duecentocinquant’anni fa, i capi più avanzati di tale rivoluzione (di tali rivoluzioni, se si vuoi parlare di ogni forma nazionale di un unico tipo generale) hanno promesso ai popoli di liberare l'umanità dai privilegi medioevali, dall'ineguaglianza della donna, dai vantaggi concessi dallo Stato a questa o a quella religione (o all'«idea religiosa», alla « religiosità» in generale), dall'ineguaglianza delle nazioni. Hanno promesso, ma non hanno mantenuto. Non hanno potuto mantenere perché sono stati ostacolati dal «rispetto» per la «sacra proprietà privata». Nella nostra rivoluzione proletaria questo maledetto «rispetto» per questo medioevo tre volte maledetto e per questa «sacra proprietà privata» non c'è stato. (Lenin - per il quarto anniversario della rivoluzione d'ottobre)

Il capitale è divenuto internazionale e monopolistico. Il mondo è diviso fra un piccolo numero di grandi potenze, vale a dire fra le potenze che sono meglio riuscite a spogliare e ad asservire su grande scala altre nazioni. (Lenin - Sulla parola d'ordine degli Stati uniti d'Europa)

Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico...Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalista, non c'è e non può esservi altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione con le basi della proprietà privata, ma è il risultato diretto e inevitabile dello sviluppo di queste basi. (Lenin - Sulla parola d'ordine degli Stati uniti d'Europa)

Maggiore è la profondità del cambiamento che vogliamo apportare, maggiore deve essere l'interesse che dobbiamo far crescere attorno ad esso. (V.I.Lenin)

Ora il dominio del capitale in Russia è infranto. Le previsioni di Carlo Marx si avverano davanti ai nostri occhi. La vecchia società sta crollando. Le corone cadono dal capo agli imperatori ed ai re. Ovunque gli operai s’avviano alla rivoluzione e all’instaurazione del potere dei Soviet. Per comprendere come tutto ciò sia avvenuto, bisogna conoscere esattamente come era costituito l’ordinamento capitalistico. Noi vedremo allora che esso doveva inevitabilmente crollare. Ma quando avremo riconosciuto che non si può ritornare indietro, che la vittoria del proletariato è sicura, noi continueremo con maggior lena e risolutezza la lotta per la nuova società del lavoro. ...ogni imprenditore capitalista (od ogni associazione capitalistica) produce merci indipendentemente dall'altro. Non è che la società stabilisca quanto e che cosa ad essa occorre, ma gli industriali fanno semplicemente produrre col miraggio di un maggiore profitto ed al fine di battere la concorrenza. Perciò avviene talvolta che vengono prodotte troppe merci (si tratta naturalmente dell'anteguerra) che non possono venir vendute (gli operai non possono acquistare non avendo sufficiente denaro). In questi casi subentra una crisi: si chiudono le fabbriche, gli operai vengono messi sul lastrico. L'anarchia della produzione ha per conseguenza la lotta per il mercato. Ognuno tende a portare via la clientela all'altro, a conquistare il mercato. Questa lotta assume varie forme, vari aspetti; essa comincia con la concorrenza fra due fabbricanti e finisce con una guerra mondiale fra gli Stati capitalistici per la ripartizione dei mercati in tutto il mondo. Qui abbiamo, anziché un combaciare degli organi della società capitalistica, il loro cozzo diretto. La prima ragione del caos capitalistico sta quindi nell'anarchia della produzione, che trova la sua manifestazione nella crisi, nella concorrenza e nella guerra La seconda ragione dello stato caotico della società capitalistica sta nella sua divisione in classi In fondo la società capitalista non è omogenea, ma divisa in due società: il capitalista da una parte, gli operai ed i poveri dall'altra. Queste due classi si trovano in una continua, inconciliabile ed implacabile inimicizia, che si manifesta nella lotta di classe. Anche qui vediamo che le varie parti della società capitalistica, nonché armonizzare tra loro, si trovano in continuo antagonismo. (N.Bukharin - L'ABC del comunismo)

Le classi nostre nemiche sono abituate a lamentarsi del nostro terrorismo. Cosa esse intendono con ciò è piuttosto oscuro. A loro piacerebbe etichettare tutte le attività del proletariato dirette contro gli interessi del nemico di classe come terrorismo. Lo sciopero, ai loro occhi, è il principale metodo del terrorismo. La minaccia di uno sciopero, l'organizzazione di picchetti, il boicottaggio economico di un boss schiavista, il boicottaggio morale di un traditore dalle nostre stesse file - tutto questo e molto più è ciò che essi chiamano terrorismo. Se il terrorismo è inteso in questo modo, come ogni azione che ispiri paura o arrechi danno al nemico, allora certamente l'intera lotta di classe non è nient'altro che terrorismo. E l'unico interrogativo che resta da porsi è se i politici borghesi abbiano o meno il diritto di versare la loro piena indignazione morale sul terrorismo proletario quando il loro intero apparato statale, con le sue leggi, polizia ed esercito, non è nient'altro che l'apparato del terrore capitalistico! ...Ai nostri occhi il terrore individuale è inammissibile precisamente perché esso sminuisce il ruolo delle masse nella loro stessa coscienza, le riconcilia all'impotenza, e piega i loro sguardi e le loro speranze verso la ricerca di un grande vendicatore e liberatore che un giorno arriverà per compiere la sua missione. I profeti anarchici della 'propaganda dei fatti' possono discutere quanto vogliono a proposito dell'influenza elevatrice e stimolatrice degli atti terroristici sulle masse. Considerazioni teoriche ed esperienza politica dimostrano diversamente. Più 'efficace' l'atto terroristico, maggiore il suo impatto, maggiore è la riduzione d'interesse delle masse nella propria auto-organizzazione ed auto-educazione. Ma il fumo della confusione si dirada, il successore del ministro ucciso fa la sua apparizione, la vita si risistema nuovamente sulla sua vecchia carreggiata, le ruote dello sfruttamento capitalistico girano come prima; solo la repressione poliziesca cresce più selvaggia e sfrontata. E come risultato, in luogo delle ardenti speranze e dell'eccitazione artificialmente stimolata, arrivano la disillusione e l'apatia. (Lev Trotzkij - Perchè i marxisti si oppongono al terrorismo individuale [1911])

Uno schiavo che non ha coscienza di essere schiavo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero. (Vladimir Lenin).

Il fine può giustificare i mezzi purché ci sia qualcosa che giustifichi il fine. (Leon Trotsky)

Nessuna rivoluzione ha mai coinciso completamente con l'idea che di essa avevano i suoi partecipanti, né potrebbe essere altrimenti. Nondimeno, le idee e gli scopi di coloro che sono impegnati nella lotta, formano un elemento costituente della rivoluzione assai importante. Ciò è specialmente vero in relazione alla rivoluzione d'ottobre, poiché mai in tutta la storia passata la concezione della rivoluzione in testa ai rivoluzionari si è avvicinata così tanto all'essenza reale degli eventi come nel 1917. (Leon Trotzkij)

Le argomentazioni dei razionalisti assumono certe volte, quantomeno nella loro forma esteriore, un carattere più concreto. Essi non deducono lo stalinismo dal bolscevismo nella sua interezza, ma dai suoi peccati politici. I bolscevichi - secondo Gorter, Pannekoek, certi "spartachisti" tedeschi ed altri - rimpiazzano la dittatura del proletariato con la dittatura del partito; Stalin ha poi rimpiazzato la dittatura del partito con la dittatura della burocrazia. I bolscevichi hanno distrutto tutti i partiti ad eccezione del loro; Stalin ha strangolato il partito bolscevico nell'interesse della cricca bonapartista. I bolscevichi son giunti a compromessi con la borghesia; Stalin né è divenuto il suo alleato ed il suo sostegno. I bolscevichi hanno riconosciuto la necessità di partecipare nei vecchi sindacati e nei parlamenti borghesi; Stalin è divenuto amico della burocrazia sindacale e della democrazia borghese. Tali paragoni possono esser fatti all'infinito. Malgrado la loro apparente efficacia essi sono completamente vuoti.
Il proletariato può giungere al potere solo attraverso la sua avanguardia. In se stessa la necessità di ottenere il potere statale scaturisce dall'insufficiente livello culturale delle masse e dalla loro eterogeneità. Nell'avanguardia rivoluzionaria, organizzata in partito, è cristallizzata l'aspirazione delle masse di ottenere la libertà. Senza la fiducia della classe nell'avanguardia, senza l'appoggio dell'avanguardia da parte della classe, non si può neppure parlare di conquista del potere. In tal senso la rivoluzione e la dittatura proletaria sono il prodotto dell'intera classe, ma solo sotto la leadership dell'avanguardia. I Soviet sono la sola forma organizzata del legame tra l'avanguardia e la classe. Solo il partito può dare contenuto rivoluzionario a tale forma. Questo è comprovato dall'esperienza positiva della Rivoluzione d'Ottobre e dall'esperienza negativa di altri paesi (Germania, Austria e, infine, Spagna). Nessuno ha mostrato praticamente o tentato di spiegare in modo articolato sulla carta come il proletariato possa prendere il potere senza la leadership politica di un partito che sa quel che vuole. Il fatto che tale partito subordina politicamente il Soviet ai suoi leader ha, di per sé, abolito il sistema sovietico non più quanto il dominio della maggioranza conservatrice abbia abolito il sistema parlamentare britannico.
Per quel che riguarda la proibizione di altri partiti sovietici, essa non scaturì da alcuna "teoria" bolscevica, ma fu una misura per difendere la dittatura in un paese arretrato e devastato, circondato da tutti i lati da nemici. Per i bolscevichi era chiaro sin dall'inizio che tale misura, successivamente completata dalla proibizione di fazioni all'interno dello stesso partito al potere, costituiva un tremendo pericolo. Comunque la radice di tale pericolo non sta nella dottrina o nella tattica, ma nella debolezza materiale della dittatura, nella difficoltà della situazione interna ed internazionale. Se la rivoluzione avesse trionfato persino nella sola Germania, la necessità di proibire gli altri partiti sovietici sarebbe immediatamente scomparsa. È assolutamente indiscutibile il fatto che il dominio di un singolo partito è servito come punto di partenza giuridico per il regime totalitario staliniano. Ma la ragione di tale sviluppo non sta né nel bolscevismo, né nella proibizione di altri partiti attuata come misura temporanea di guerra, ma nel numero delle sconfitte del proletariato in Europa ed Asia.
Lo stesso vale per la battaglia contro l'anarchismo. Nell'eroica epoca della rivoluzione, i bolscevichi cooperarono mano nella mano con i genuini anarchici rivoluzionari. Molti di loro furono attirati nelle file del partito. L'autore di queste righe discusse più di una volta con Lenin della possibilità di assegnare agli anarchici alcuni territori nei quali, col consenso della popolazione locale, essi avrebbero potuto sperimentare la loro società senza stato. Ma la guerra civile, lo stato d'assedio e la fame non lasciarono spazio per tali propositi. L'insurrezione di Kronstadt? Ma il governo rivoluzionario naturalmente non poteva "regalare" ai marinai insorti la fortezza che proteggeva la capitale solo perché la ribellione dei contadini-soldati reazionari era appoggiata da alcuni, peraltro dubbi, anarchici. La concreta analisi storica non lascia il minimo spazio per leggende, costruite con l'ignoranza ed il sentimentalismo, riguardo Kronstadt, Makhno ed altri episodi della rivoluzione.
Resta solo il fatto che i bolscevichi utilizzarono, sin dall'inizio, non solo metodi convincitivi, ma anche la costrizione, spesso sino al grado più severo. È anche innegabile che, in seguito, la burocrazia nata dalla rivoluzione ha monopolizzato nelle sue mani il sistema coercitivo. Ogni fase dello sviluppo, anche fasi così catastrofiche come la rivoluzione e la controrivoluzione, scaturisce dalla fase precedente, è radicata in essa e si porta dietro alcune delle sue caratteristiche. I liberali, inclusi i Webbs, hanno sempre sostenuto che la dittatura bolscevica rappresentativa solo una nuova edizione dello zarismo. Essi hanno chiuso i loro occhi innanzi a "dettagli" come l'abolizione della monarchia e della nobiltà, la consegna delle terre ai contadini, l'espropriazione del capitale, l'introduzione dell'economia pianificata, l'educazione atea, e così via. Esattamente allo stesso modo il pensiero liberal-anarchico chiude i suoi occhi innanzi al fatto che la rivoluzione bolscevica, con tutte le sue repressioni, rappresentava un sovvertimento delle precedenti relazioni sociali nell'interesse delle masse, laddove il termidoriano sovvertimento stalinista accompagna la ricostruzione della società sovietica nell'interesse di una minoranza privilegiata. È chiaro che nell'identificazione dello stalinismo col bolscevismo non vi è alcuna traccia di criterio d'analisi socialista.
(Leon Trotzkij)

Lamentele per la "immoralità" del bolscevismo provengono particolarmente da quei vanagloriosi millantatori le cui maschere a buon mercato son state strappate via dal bolscevismo stesso. Nei circoli piccolo-borghesi, intellettualistici, "socialisti", letterari, parlamentari e d'altro genere, prevalgono i valori convenzionali, o un linguaggio convenzionale atto a coprire la loro assenza di valori. Questa vasta ed eterogenea società del mutuo soccorso - "vivi e lascia vivere" - non può sopportare il tocco della lancetta marxista sulla propria delicata pelle. I teorici, gli scrittori e i moralisti, esitanti tra diversi campi, pensavano e continuano a pensare che i bolscevichi esagerino maliziosamente le differenze, che siano incapaci di collaborazione "leale" e che i loro "intrighi" distruggano l'unità del movimento operaio. Inoltre, il sensibile e suscettibile centrista ha sempre pensato che i bolscevichi lo stessero "calunniando" - semplicemente per il fatto che essi portavano, al posto suo, fino alla fine i pensieri da lui mezzo sviluppati: cosa che lui non è mai stato capace di fare. Ma resta il fatto che solo quella preziosa qualità, un'inflessibile attitudine contro il cavillare e l'evasività, può educare un partito rivoluzionario che non voglia esser preso alla sprovvista da "circostanze eccezionali".
Le qualità morali di ogni partito scaturiscono, in ultima analisi, dagli interessi storici che esso rappresenta. Le qualità morali del bolscevismo (l'auto-rinuncia, il disinteresse, l'audacia ed il disprezzo per ogni tipo di fronzoli e falsità - le più alte qualità della natura umana!) derivano dall'intransigenza rivoluzionaria al servizio degli oppressi. Anche la burocrazia staliniana imita in questo campo le parole e i gesti del bolscevismo. Ma quando "intransigenza" e "inflessibilità" sono applicate da un apparato poliziesco al servizio di una minoranza privilegiata, essi divengono una forza di demoralizzazione e gangsterismo. Si può provare solo disprezzo per questi gentiluomini che identificano l'eroismo rivoluzionario dei bolscevichi con il cinismo burocratico dei termidoriani.
Persino ora, malgrado i drammatici eventi del recente periodo, il filisteo medio preferisce credere che la battaglia tra bolscevismo ("trotskysmo") e stalinismo riguarda uno scontro tra ambizioni personali, o, al meglio, un conflitto tra due "tonalità" di bolscevismo. La più cruda espressione di tale opinione è fornita da Norman Thomas, leader del Partito socialista americano: "C'è poca ragione di credere", scrive (Socialist review, settembre 1937, p. 6), "che se Trotsky avesse vinto (!) invece di Stalin, sarebbero finiti in Russia gli intrighi, i complotti ed il regno della paura". E quest'uomo si considera… un marxista. Si avrebbe lo stesso diritto di dire: "C'è poca ragione di credere che, se invece che da Pio XI la Santa Sede fosse stata occupata da Norman I, la Chiesa Cattolica si sarebbe trasformata in un bastione del socialismo". Thomas non riesce a comprendere che non si tratta qui di un conflitto tra Stalin e Trotsky, ma di un antagonismo tra la burocrazia ed il proletariato. Certamente, lo strato governante dell'URSS è costretto persino ora ad adattare se stesso alla non ancora completamente liquidata eredità della rivoluzione, mentre sta preparando nel contempo, attraverso una guerra civile ("purghe" sanguinose - annientamento di massa degli scontenti), un cambiamento nel regime sociale. Ma in Spagna la cricca staliniana sta già agendo apertamente come bastione della burocrazia contro il socialismo. La battaglia contro la burocrazia bonapartista si sta trasformando sotto i nostri occhi in lotta di classe: due mondi, due programmi, due moralità. Se Thomas crede che la vittoria del proletariato socialista sull'infame casta di oppressori non rigenererebbe politicamente e moralmente il regime sovietico, egli prova soltanto che, nonostante tutte le sue riserve, spostamenti e pii sospiri, egli è molto più vicino alla burocrazia stalinista che agli operai. Come altri espositori della "immoralità" bolscevica, Thomas semplicemente non è cresciuto al livello della moralità rivoluzionaria.
(Leon Trotzkij)


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