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Il biennio rosso

Occupazione delle fabbriche in Italia nel 1920 Il Biennio rosso si riferisce agli anni 1919-1920, quando le crisi economiche conseguenti alla prima guerra mondiale portarono all'acuirsi, in molti stati europei, di gravi conflittualità sociali.
L'Europa venne attraversata da una lunga serie di scioperi ed agitazioni delle classi sociali più basse che maggiormente risentirono del dissesto economico provocato dalle enormi spese militari sostenute. Soltanto la grande borghesia finanziaria ed industriale aveva ottenuto ingenti profitti con le forniture militari, mentre la piccola e media borghesia videro il proprio potere d'acquisto eroso dall'inflazione.
La Rivoluzione bolscevica del 1917 aveva portato ad una presa di coscienza degli operai e dei contadini che organizzarono in tutta Europa un'ondata di proteste ed occupazioni nelle fabbriche e nelle campagne sul modello di quanto già accaduto in Russia. Dall'Urss Lenin promuoveva, attraverso la creazione del Comintern, la costituzione di partiti comunisti in tutto il mondo, che avrebbero dovuto prendere le distanze dai socialisti democratici, rifiutare i vecchi sistemi istituzionali ed attuare una rivoluzione simile a quella russa. Ciò accrebbe molto le preoccupazioni delle borghesie occidentali che vedevano nel bolscevismo la fine dei privilegi e dei valori acquisiti.
Il maggior problema che l'Europa dovette fronteggiare fu la riconversione degli apparati produttivi: ciò innescò un lungo ciclo di problemi. Di contro gli Stati Uniti erano divenuti grandi esportatori di capitali e si affermarono come potenza egemone a livello mondiale, l'unica in grado di sovvenzionare la ripresa economica del vecchio continente. Le colonie sudamericane ridussero la loro dipendenza dai capitali europei, soprattutto la Gran Bretagna, incrementando nel contempo la produzione tessile e metallurgica e aumentando le esportazioni di grano, carne e zucchero.
Le nazioni europee si sforzarono di essere promotrici di nuove politiche monetarie per mantenere il controllo dei rapporti tra capitale e mondo del lavoro. Il "corporativismo" venne sostenuto, in Germania ed in Italia, dai movimenti di destra che si fecero sostenitori della necessità di superare il parlamentarismo e di rifondare il sistema politico attorno alla figura di un capo, dotato di poteri autoritari in grado di interpretare ed esprimere i bisogni e le aspettative delle masse. La crisi del dopoguerra investì le istituzioni liberali e democratiche, considerate incapaci di recepire e rappresentare le novità che il novecento aveva prodotto, in special modo il bisogno crescente di partecipazione attiva alla vita sociale.
I soldati, che avevano compiuto enormi sacrifici in nome della patria, si strinsero in associazioni che ricreavano i legami di cameratismo formatisi durante la guerra. Questa tendenza allo stabilire nuovi vincoli favorì lo sviluppo dei sindacati e dei partiti politici, che divennero luogo di dialogo e condivisione dei problemi derivati dalla crisi economica. I governi europei tendevano a considerare la conflittualità sociale una semplice questione di ordine pubblico e non l'epressione di un malessere profondo. I disordini del Biennio rosso portarono la borghesia a sostenere la crescita di movimenti reazionari.
Mentre nelle democrazie più evolute, come Francia ed Inghilterra, gli scontri sociali vennero riassorbiti dal sistema politico istituzionale, in paesi come la Germania e l'Italia l'impatto tra le forze rivoluzionarie e quelle nazionalistiche favorì la diffusione di tendenze autoritarie.
La Gran Bretagna dovette affrontare nel 1919 una cruenta guerra civile scatenata dai cattolici indipendentisti (organizzati nell'Ira), che avevano proclamato l'autonomia dell'Irlanda, e protestanti unionisti. Alla fine (1921) l'isola venne divisa in due: Stato libero d'Irlanda e Ulster. Lo stesso anno l' Inghilterra perse il controllo dell'Egitto.
Il governo inglese si vide costretto, per fronteggiare i conflitti interni, a varare leggi di protezione sociale come l'indennità di disoccupazione, che tuttavia non evitarono mobilitazioni di massa. Nel 1926 lo sciopero dei minatori paralizzò il paese. Soltanto l'intervento riformistico del Partito laburista e delle Trade Unions impedì che lo sciopero sfociasse in una guerra civile.
In Francia le forze politiche in carica tentarono di arginare la crisi economica utilizzando le risorse provenienti dal risarcimento dei danni di guerra della Germania. Al congresso socialista di Tours (1920) la maggioranza dei partecipanti fondò il Partito Comunista Francese, che aderì alla Terza Internazionale di Lenin.
La fondazione del PCF era stata preceduta da una intensa attività politica di un gruppo di letterati francesi riunitisi intorno alla rivista Clarté (Chiarezza) fondata dallo scrittore Henri Barbuse. Tra gli altri si distinse l’apporto della comunista Jeanne Labourbe, figlia di un’esponente della Comune di Parigi del 1871. Labourbe, ritenuta da Lenin una grande internazionalista, partecipò alla guerra civile russa. Nel 1918 costituì a Mosca il Gruppo Comunista Francese e realizzò il giornale Le Comuniste. Nel marzo del 1919 fu catturata e fucilata, all’età di 40 anni, dal controspionaggio francese.
Tuttavia la Francia era uscita vincitrice dal primo conflitto mondiale e avendo numerose colonie acquisite fin dal XV secolo, poté, come altre potenze coloniali, contare sulla possibilità di attingere alle risorse dei paesi colonizzati.
Nel rapporto sulla Situazione Internazionale al II Congresso dell’IC, Lenin affermò: "In America, in Inghilterra e in Francia notiamo nei capi riformisti, nello strato superiore della classe operaia, nell’aristocrazia operaia, un’ostinazione molto più forte, una resistenza molto più tenace nei riguardi del movimento comunista. Si deve quindi prevedere che i partiti operai europei occidentali e americani guariranno da questa malattia molto più difficilmente di noi… La pratica ha dimostrato che i militanti del movimento operaio appartenenti alla corrente opportunistica difendono la borghesia meglio degli stessi borghesi. Se non fossero loro a dirigere gli operai, la borghesia non potrebbe resistere" .
La protesta proletaria francese aveva toccato i settori della produzione e dei trasporti gia nel 1919; di fronte allo sciopero generale del 1° maggio del 1920, soffocato nel sangue dal governo Clemanceau, la classe operaia francese, sostenuta dalla Russia dei Soviet, incitò la costituzione di un Partito comunista. Il Congresso di Tours si concluse con l’approvazione dei "21 punti" da parte della maggioranza dei partecipanti e con l’adesione degli stessi all’IC. La minoranza riformista, capeggiata da Léon Blum, Jean Longuet, Paul Faure, preferì scindersi. Si verificò quindi una scissione di destra, al contrario di quanto era accaduto negli altri partiti comunisti europei.
Nel nuovo partito persistevano pensieri contrastanti, soprattutto sui problemi di tattica politica e sulla posizione da tenere nei confronti della politica coloniale francese. Ciò indusse il II Congresso dell’IC a porre la questione coloniale in maniera esplicita. Fra le condizioni di ammissione all’organizzazione venne stabilito che "nella questione coloniale e delle nazionalità oppresse, i partiti dei paesi la cui borghesia possiede delle colonie o opprime delle nazioni devono avere una linea di condotta chiara... sostenere non a parole ma di fatto ogni movimento di emancipazione nelle colonie " . Il problema della questione coloniale rimase aperto anche al III Congresso dell’IC del luglio del 1921, durante il quale la delegazione francese si spaccò sulla questione dell’approvazione o meno del fronte unico.
In Note di un pubblicista (1922) Lenin, parlando delle difficoltà dei partiti aderenti all’IC a trasformarsi in veri partiti comunisti disse: "La trasformazione di un partito europeo di tipo vecchio, parlamentare, riformista di fatto e appena sfumato di colore rivoluzionario, in partito di tipo nuovo, realmente rivoluzionario e realmente comunista, è una cosa estremamente ardua. L’esempio della Francia dimostra forse ciò nel modo più evidente". Al II Congresso del PCF (15-19 ottobre 1922), le preoccupazioni espresse da Lenin furono confermate dai fatti: il PCF non riuscì a dar vita ad una proposta di costituzione di un Comitato paritetico tra sinistra e destra con l’arbitrato di un delegato dell’Esecutivo dell’IC. Ad ogni modo il fallimento dei grandi scioperi operai fu il segnale dell'esaurirsi della più acuta fase dello scontro sociale e delle possibilità di mutare radicalmente l'assetto politico del paese. L'economia francese conobbe una ripresa più vivace rispetto a quella britannica e poté giovarsi della riconquista di Alsazia e Lorena e dell'afflusso di denaro e dei beni tedeschi oltre che della concentrazione produttiva del periodo bellico.
La Germania sembrava il paese dove sarebbe potuta avvenire più facilmente una rivoluzione sul modello di quella russa. Nell’aprile del 1917 vi era stata una scissione all’interno della socialdemocrazia tedesca (SPD) per opera di un gruppo di dissidenti che dette vita al Partito socialdemocratico indipendente di Germania (USPD). Alla sinistra di questo soggetto politico si schierarono altri gruppi più dichiaratamente rivoluzionari, fra i quali i “gruppi spartachisti” guidati da Rosa Luxemburg e Carlo Liebknecht. Il rientro a Berlino di Liebknecht (23 ottobre 1918) dopo la prigionia, coincise col crollo militare tedesco e con le grandi manifestazioni di massa in sostegno della rivoluzione russa.
Il 9 novembre 1918 fu proclamata la repubblica e il socialdemocratico Reich Ebert, dopo essere stato nominato capo del governo provvisorio, l'anno successivo divenne presidente della repubblica che prese il nome dalla città di Weimar, dove un'assemblea nazionale era convenuta per redigere la nuova costituzione, dopo la sconfitta tedesca della prima guerra mondiale.
I partiti socialdemocratici propendevano per un regime parlamentare e si opponevano a soluzioni di tipo bolscevico; i socialisti indipendenti miravano invece a riforme radicali, come la nazionalizzazione delle industrie e gli espropri delle grandi proprietà terriere. All'estrema sinistra la Lega di Spartaco premeva per una svolta rivoluzionaria. Ebert si dichiarò subito intenzionato a soffocare i fermenti rivoluzionari.
Nel frattempo il movimento rivoluzionario cresceva in tutto il paese. Ovunque sorgevano i Consigli degli operai e dei militari. Già nella prima decade di novembre, con la fuga in Olanda di Guglielmo II, il potere era passato nelle mani delle tre più importanti organizzazioni della sinistra tedesca: della SPD, della USPD e dei comunisti.
Nei primi di gennaio del 1919 a Berlino una manifestazione per protestare contro il trasferimento del prefetto socialista si trasformò in una prova di forza. Gli spartachisti si trovarono coinvolti in uno scontro armato a carattere insurrezionale innescatosi spontaneamente e sfuggito al loro stesso controllo. Contro la mobilitazione dei lavoratori il ministro della difesa schierò i Freikorps, le squadre d'azione controrivoluzionarie che si diedero a una repressione sistematica, colpendo l'opposizione operaia in tutte le città industriali; le azioni repressive, con l'approvazione congiunta del governo, dello stato maggiore e delle alte sfere burocratiche, dilagarono. Repressa nel sangue la rivolta spartachista, i Freikorps continuarono a operare autonomamente con l'appoggio di ufficiali ed ex ufficiali di estrema destra, compiendo numerosi attentati terroristici.
La repubblica di Weimar dovette fronteggiare una inflazione dilagante dovuta all'immissione sul mercato di una enorme quantità di moneta per pagare i danni di guerra. il debito pubblico divenne incalcolabile e lo stato dichiarò la sua impossibilità a corrispondere i pagamenti ai paesi creditori. La Francia occupò le miniere carbonifere della Ruhr che provocò un ulteriore aggravamento dell'inflazione in Germania. I piccoli produttori sparirono e i redditi medio-bassi dei lavoratori furono polverizzati.
Nel tentativo di frenare l’ondata rivoluzionaria, i socialdemocratici di destra della SPD furono costretti a proporre al Partito socialdemocratico indipendente e a Liebknecht di entrare nel governo diretto dal socialdemocratico di destra Ebert. Liebknecht rifiutò l'adesione adducendo la motivazione che Ebert si era rifiutato di dichiarare la Germania Repubblica socialista. Ciò finì per favorire i piani dello stesso Cancelliere che dette vita alla formazione di un nuovo governo denominato “Consiglio dei Commissari del Popolo” con la partecipazione paritetica di tre rappresentanti della SPD e di tre rappresentanti dell’USPD. I comunisti si trovarono isolati mentre il nuovo governo dei socialdemocratici di destra attuò una svolta controrivoluzionaria.
L'errore egli spartachisti di non essersi separarti in tempo dall’USPD venne sottolineato da Lenin: "La borghesia armata tendeva trappole agli operai disarmati, li assassinava in massa, assassinava i loro capi attirandoli sistematicamente in agguati, uno dopo l’altro, sfruttando in pari tempo a meraviglia le urla controrivoluzionarie che si levavano tra i socialdemocratici di ambedue le tinte: scheidemanniani e kautskiani. Ma nel momento della crisi, gli operai tedeschi, a causa del ritardo della scissione, a causa del giogo della maledetta tradizione dell’”unità” con la banda dei lacchè del capitale, quelli venduti (gli Scheidemann, i Legien, i David e soci ) e quelli senza carattere (i Kautsky, gli Hilferding e soci ), non avevano un partito veramente rivoluzionario" .
Con intrighi parlamentari, con lo svuotamento dei poteri dei Consigli, con gli accordi segreti con gli alti comandi dell’esercito imperiale, il governo di Ebert-Haase riuscì a mantenere intatto sia l’apparato statale monarchico e militare, che il dominio economico dei proprietari terrieri e della borghesia. La rivoluzione fu soffocata nel sangue da 22.000 soldati (corpi franchi) provenienti da tutta la Germania che instaurarono per mesi il cosiddetto "Terrore bianco".
Lenin sostenne: "Perché in Germania lo spostamento degli operai, del tutto identico [a quanto successe in Russia], da destra a sinistra, non ha condotto al rafforzamento immediato dei comunisti, ma, dapprima al rafforzamento del partito intermedio degli “indipendenti”, benché questo partito non avesse nessuna idea politica propria, né una politica indipendente, ma oscillasse soltanto fra gli Scheidemann e i comunisti? E’ chiaro che una delle cause del fallimento fu la tattica sbagliata dei comunisti tedeschi….." .
Il nuovo governo di coalizione promosse una serie di importanti provvedimenti, avallati dagli emergenti movimenti di destra: esso mise fine al boicottaggio della Ruhr, avviò una dura persecuzione contro i socialisti, istituì il "marco di rendita"(Rentenmark), garantito non da riserve auree ma da un'ipoteca sui beni del territorio nazionale. Secondo il piano Dawes furono stanziati prestiti e investimenti americani a sostegno della produzione tedesca; fu deciso di commisurare le rate annuali dei pagamenti alle condizioni economiche del momento. La riconciliazione franco-tedesca fu sancita dagli accordi di Locarno.
I movimenti di destra incrementarono i loro consensi e portarono Paul von Hindenburg all'elezione alla presidenza della repubblica. I temi nazionalistici abbinati a risentimenti razzisti fornirono terreno fertile alla nascita del Partito Nazionalsocialista Tedesco, guidato da Adolf Hitler. L'8 novembre 1923, dopo aver formato delle squadre paramilitari (SA) a Monaco, Hitler tentò per la prima volta di trasformare la capitale bavarese in una base di potere da cui sfidare il governo centrale di Berlino.
Il fallimento della rivoluzione tedesca mise in luce insufficienze e gravi errori che Lenin così stigmatizzò: "E’ chiaro che una delle cause fu la tattica sbagliata dei comunisti tedeschi, i quali devono confessare, senza timore e onestamente, questo errore e imparare a correggerlo. L’errore consistette nel rifiuto di partecipare al Parlamento borghese reazionario e ai sindacati reazionari, l’errore consistette in numerose manifestazioni di quella malattia infantile “di sinistra” che ora si è esteriorizzata e che sarà curata tanto meglio, tanto più rapidamente e con tanto maggior vantaggio per l’organismo" .
In Ungheria socialisti e comunisti crearono la Repubblica Ungherese dei Consigli, su modello sovietico, proclamata il 21 marzo del 1919. I rivoluzionari tentarono il progetto di portare l'esperienza insurrezionale anche in Austria, dove i comunisti locali già stavano tentando di spingere il popolo alla rivoluzione (senza esito), ma gli agitatori ungheresi si trovarono isolati e fallirono.
A causa del tradimento dei riformisti alla vigilia dell’entrata a Budapest delle truppe rumene e cecoslovacche al servizio delle potenze dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Italia) e dell’attività sovversiva dei socialdemocratici di destra, i comunisti ungheresi guidati dal compagno Béla Kun dovettero capitolare il 2 agosto di quello stesso anno.
Il sanguinoso regime terroristico immediatamente instaurato dall’ammiraglio Horthy fu spietato: i comunisti vennero torturati, uccisi, impiccati ai lampioni delle strade di Budapest. Circa 5.000 eroi della Repubblica Ungherese dei Consigli immolarono la propria vita per la causa della rivoluzione. Oltre 40.000 persone vennero gettate in carcere e decine di migliaia partirono per l’esilio.
Protesta dei ferrovieri in Italia nel 1919 Anche In Italia la disoccupazione, l'aumento del carovita e del deficit pubblico (che passò dai 214 milioni di lire del 1913 a 23.345 milioni), e le difficoltà di riconversione delle industrie determinarono l'inizio di un'ondata di scioperi che coinvolsero operai e contadini, che specialmente nel Nord e nel mezzogiorno tentarono l'occupazione delle terre incolte.
La storia del Biennio Rosso italiano ebbe inizio con la pubblicazione del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti sulla rivista Ordine nuovo (guidata da Gramsci, Togliatti e Terracini), nel quale si promuoveva un'alleanza tra operai e contadini e la creazione dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. La struttura dei Consigli avrebbe dovuto ricalcare quella dei soviet russi.
La protesta si diffuse dalle fabbriche, in special modo quelle metalmeccaniche, ai trasporti ed alle campagne, dove si innescarono duri scontri tra braccianti e proprietari terrieri che portarono, per la prima volta, a forme autogestione contadina.
Il governo, presieduto dal 23 giugno 1919 da Francesco Saverio Nitti, insieme alla Confederazione generale dell'industria riuscì ad arginare il problema consentendo l'occupazione delle campagne alle cooperative e agli enti agricoli, ma rimase ostile alle organizzazioni sindacali, come l'Unione Sindacale Italiana (USI), che aveva raggiunto quasi il milione di iscritti.
Sull'esempio della rivoluzione russa la classe operaia italiana organizzò scioperi e manifestazioni nelle fabbriche, immaginando di poter ripetere le imprese del proletariato sovietico. Le agitazioni erano finalizzate all'ottenimento di migliori condizioni di lavoro e salari più alti, ma anche rivendicazioni di contenuto politico. Si diffusero, sul modello russo, gli slogan: "le terre ai contadini" e "le fabbriche agli operai".
Essendo rimasta inevasa la richiesta italiana (suffragata da un plebiscito) alla Conferenza di Versailles (1919) di annettere al regno d'Italia la città dalmata di Fiume, assegnata invece alla Croazia dal patto di Londra (1915), lo scrittore Gabriele d'Annunzio, in qualità di tenente-colonnello dei Lancieri di Novara, la occupò con un gruppo di 2600 volontari instaurandovi il comando del "Quarnaro liberato"(settembre 1919).
Il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò in Piazza San Sepolcro a Milano "i fasci italiani di combattimento", una piccola formazione politica di ispirazione social-nazionalistica composta sopratutto da reduci interventisti della prima guerra mondiale. Lo schieramento adottò il ricorso sistematico alla violenza come strumento di lotta politica, a cominciare dall'assalto alla sede dell' Avanti (15 aprile 1919).
Nel novembre 1919 le elezioni politiche videro l'affermarsi del neonato Partito Popolare di Don Luigi Sturzo, primo partito di ispirazione cattolica, che ottenne 100 deputati, e la crescita del Partito Socialista Italiano, guidato da Serrati, che ebbe 156 eletti. I liberali, che nel 1913 avevano la maggioranza assoluta (oltre 300 deputati) ottennero poco più di 200 rappresentanti. La classe politica liberale in quel momento al potere si trovò a fronteggiare il clima di rivincita nazionale promosso da D'Annunzio e i moti rivoluzionari di ispirazione comunista.
Lenin suggerì a Serrati la tattica migliore, opportunamente adeguata, da tenere in Italia. Ma Serrati scelse la strada opposta: si staccò dall’Internazionale comunista, seguì la politica di Ebert (responsabile dell’assassinio di Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg) e respinse la tattica della scissione dai riformisti e del fronte unico. Il fenomeno rivoluzionario del Biennio rosso coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso al suo interno tra riformisti (ala gradualista nelle riforme) e massimalisti (ala filosovietica capeggiata da Bordiga, vittoriosa nel congresso di Bologna del 1919, che spingeva per la conquista del potere e la dittatura del proletariato). Antonio Gramsci avvertì l'incapacità dei socialisti a svolgere un ruolo guida del movimento operaio e tentò di dare una sistemazione teorica e pratica agli insorti.
Dal 28 marzo 1920 gli industriali ed i latifondisti, che rappresentavano gran parte delle ricchezze del paese, con l'aiuto dell'esercito, fronteggiarono gli scioperi proletari con la serrata ad oltranza. Dopo mesi di trattative sulle richieste del movimento operaio di aumenti salariali, di migliorie nelle condizioni di lavoro e nella partecipazione attiva dei lavoratori nelle decisioni delle aziende, respinte con ostinazione dalla Confederazione Generale dell'Industria, si arrivò alla occupazione armata delle fabbriche (30 agosto 1920). Circa trecento fabbriche a Torino, Milano e Genova furono occupate da più di 400.000 lavoratori che cercarono di autogestirle, ma non trovarono sufficente appoggio da parte dei tecnici e ingegneri specializzati.
L'occupazione sarebbe dovuta essere l'inizio di un processo rivoluzionario, ma la mancanza di strategia e l'incapacità di estensione del movimento frenarono la sua spinta rivendicativa.
Occupazione delle terre in Sicilia nel 1920 Mentre il governo presieduto da Giovanni Giolitti mostrava tutta la sua incapacità nell'affrontare la difficile situazione, molti rappresentanti della borghesia agraria cominciarono a sostenere politicamente ed economicamente i "ras" fascisti, gli unici in grado di rispondere con risolutezza al movimento organizzato dai braccianti. Le squadre fasciste intervennero con violenza nelle manifestazioni dei proletari in molte città italiane, portando scompiglio tra i partecipanti. In occasione dell'insediamento del nuovo sindaco socialista di Bologna (novembre 1920), gli scontri con bombe a mano ed armi da fuoco, causarono la morte di nove persone.
In Toscana, nel Veneto, in Lombardia e in Umbria, vennero assalite le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e delle leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi incendiarono le sedi dei giornali sloveni, mentre in Alto Adige spedizioni punitive furono rivolte contro la popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata italianizzazione secondo il motto mussoliniano di "estirpare il nido di vipere tedesco".
Il governo in carica sottovalutò il diffondersi del fascismo, tollerando le operazioni squadriste contro il "sovversivismo rosso" e consentendo di dare vita ad iniziative illegali. Giolitti stesso affermò pubblicamente: "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente".
Col trattato di Rapallo (12 novembre 1920) Fiume divenne una città indipendente. Gabriele D'Annunzio non accettò l'accordo, per cui il governo italiano fu costretto a far sgomberare con la forza i legionari. L'esito degli accordi del trattato (definito da D'Annunzio, la "vittoria mutilata") alimentò il malcontento tra le migliaia di reduci, frustrati dai risultati di guerra, che simpatizzarono ancor di più con i partiti nazionalisti.
Nell'ottobre 1920, dopo mesi di trattative infruttuose, il governo riuscì a convincere le parti sociali ad accettare un compromesso. I lavoratori ottennero un miglioramento delle condizioni salariali e la riduzione dell'orario di lavoro giornaliero da 11 a 8 ore. Fu promesso anche un disegno di legge che prevedeva l'istituzione del controllo operaio nelle fabbriche che non fu mai attuato. Gli operai avevano ottenuto le loro rivendicazioni economiche ma avevano dovuto rinunciare alla questione che era stata al centro delle lotte: il potere nelle fabbriche rimaneva nelle mani dei padroni.
La classe dirigente liberale ed il ceto medio, spaventati dalle insurrezioni rivoluzionarie, favorirono l'entrata dei fascismo nella politica parlamentare per frenare l'ascesa dei partiti di massa (popolare,socialista e comunista). Giolitti, sebbene mancasse dell'appoggio delle elites tradizionali, risanò il bilancio pubblico ma ebbe gravi responsabilità nel permettere il diffondersi delle pratiche fasciste nelle istituzioni.
Nelle elezioni del maggio 1921 il neonato Partito Nazionale Fascista conquistò 35 seggi, Giolitti sconfitto, abbandonò il suo incarico, lasciando un grande vuoto di potere. Mussolini, autoproclamatosi difensore dell'ordine e dell'unità nazionale, divenne il mediatore tra la componente squadrista e quella parlamentare del movimento, approfittando della disorganizzazione degli avversari. Nello stesso periodo comunisti e anarchici crearono le squadre degli Arditi del Popolo , che avevano l'unico obiettivo di opporsi alle iniziative delle "camicie nere".
Tra luglio 1921 ed il febbraio 1922 il governo passò nelle mani di Ivanoe Bonomi, un ex socialista che si rivelò del tutto inadeguato a fronteggiare le formazioni fasciste, fomentando anzi una condotta repressiva nei confronti delle formazioni di difesa antifasciste. Nel 1922 l'ala riformista, capeggiata da Giacomo Matteotti e Filippo Turati, venne espulsa dal PSI e fondò il PSU (Partito Socialista Unitario); quest'ultimo ,soppresso dal regime fascista nel novembre 1925, verrà ricostituito clandestinamente come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).
Dopo il Biennio rosso, il fascismo intensificò i suoi attacchi contro le case del popolo, le camere del lavoro, le cooperative, le leghe contadine, le sezioni socialiste, i circoli culturali, i sindacati operai, i circoli ricreativi operai. Soltanto nella prima metà del 1921 le azioni delle squadre fasciste nel nord Italia furono 726.
Nell'ottobre 1922 Mussolini organizzò una mobilitazione delle squadre paramilitari fasciste contro il governo di Luigi Facta, passata alla storia come "La marcia su Roma". Guidata dai quadrumviri (i dirigenti fascisti), la spedizione non fu contrastata con decisione dallo stato. Il re Vittorio Emanuele III, che era rifiutato di firmare lo stato d'assedio e fatto dimettere Facta, dopo un fallito tentativo di Antonio Salandra di formare un'esecutivo, affidò l'incarico di primo ministro a Mussolini.
Le elezioni del 1924, segnate da brogli e irregolarità evidentissime, sancirono l'inizio del ventennio del regime totalitario fascista.
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